Si vis pacem, para bellum

Continuano le tensioni in Crimea: è crisi. Nonostante i moniti della NATO e dell’ Unione Europea, la Russia non allenta la presa sulla Crimea tra gli applausi della popolazione. “Se vuoi la pace, prepara la guerra.” Se ne parla da settimane ormai, la rivolta di Piazza Maidan ha destabilizzato i fragili equilibri che vigevano in Ucraina. La destituzione di Yanukhovic, fuggito in Russia, ha dato il via alla creazione di un governo composto dai capi di coloro che erano scesi a manifestare, retto dal presidente Oleksandr Turcinov. L’ Ucraina è spaccata in due: il nuovo governo guarda all’ Occidente e all’ Unione Europea, tuttavia alcune zone del paese sono ancora fortemente legate da rapporti economici e culturali alla Russia, una su tutte è senza dubbio la Crimea.

Piccola penisola, la Crimea è una repubblica autonoma appartenente al governo di Kiev, ma fu donata a quest’ ultimo proprio dalla Russia nel 1954. La popolazione è per la maggioranza di etnia russa, ancora russofona e filorussa, l’identità nazionale ucraina, in quel territorio, è pressoché nulla.

A fronte del tracollo degli equilibri politici in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto e ottenuto dal Parlamento l’approvazione per l’uso delle forze armate in Crimea, allo scopo di tutelare gli interessi economici e i cittadini russi ivi presenti. Mossa comprensibile, se guardiamo bene la realtà. Il Cremlino vanta in Crimea circa quarantamila chilometri di gasdotti, interessi commerciali e la base militare della flotta russa sul Mar Nero. Non potrebbe certo lasciare che un patrimonio a dir poco vitale per la propria economia cadesse sotto l’influenza dell’ Ue.

Da giorni la capitale Sinferopoli, e a poco a poco tutte le postazioni strategiche della penisola sono cadute sotto il controllo delle forze militari russe e delle milizie di autodifesa filorusse, la polizia ucraina è ridotta al compito di redigere multe per eccesso di velocità. E’ palese che la Russia abbia violato il diritto di sovranità ucraino in un territorio che, sulla carta, è ancora sotto il controllo di Kiev. Le principali autorità internazionali, come la NATO, si stanno mobilitando per risolvere in modo pacifico la questione. I contatti fra Usa, Russia, e le principali nazioni europee, tra cui l’Italia, sono intense e costanti, ma il Cremlino è inamovibile. Sembra che le parole e le “minacce” verbali non servano, il G8 di Sochi rischia di essere boicottato. L’ambasciatore americano in Russia è stato richiamato in patria, e molti altri paesi hanno seguito questa scia. Sembra di essere tornati alla Guerra Fredda. Le autorità ucraine stimano, ad oggi, circa 30000 soldati Russi in Crimea, con un numero in costante aumento. Si raffreddano i rapporti commerciali e i mercati crollano. Il colosso del gas russo Gazprom ha chiesto all’ Ucraina di saldare il debito di circa un miliardo di euro per non essere costretto al taglio delle forniture. Ucraina ridotta alla canna del gas nel vero e proprio senso della parola, ma le autorità europee promettono assistenza e si dichiarano pronte ad intervenire per porre fine ad un’azione inaccettabile da parte della Russia. La popolazione della Crimea vuole essere annessa al governo del Cremlino, come dimostra un primo referendum effettuato nella data del 6 marzo scorso giudicato illegale dal presidente americano Barack Obama. La data ufficiale per il referendum è infatti fissata al 16 marzo, ma non sarebbe azzardato prevedere che il risultato sarà lo stesso.

Il vento soffia forte sulla polveriera Crimea, ed è un vento di guerra. Siamo sull’orlo del baratro, non resta che sperare e confidare nel buon senso e nella diplomazia. Altrimenti potremmo trovarci a dar nuovamente ragione a un certo Albert Einstein, che qualche anno fa disse: “Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre.”

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