USA, Lisa Montgomery prima donna condannata a morte dopo 70 anni

La corte d’appello statunitense, per il distretto della Columbia, ha dato l’autorizzazione all’esecuzione dell’unica donna in attesa nel braccio della morte di una prigione federale. Lisa Montgomery è stata condannata alla pena di morte per aver strangolato nel 2004 una donna incinta di 8 mesi, nel Missouri, prima di praticarle un cesareo e sottrarle la bambina, sopravvissuta.

L’esecuzione era stata fissata per dicembre 2020 ma è stata rimandata poiché i suoi avvocati avevano contratto il covid-19. La data è stata spostata quindi al 12 gennaio, anche se gli avvocati della detenuta hanno annunciato ricorso. Se verrà giustiziata, Montgomery sarà la prima detenuta donna a essere messa a morte in quasi 70 anni e la sentenza verrà eseguita a pochi giorni dall’insediamento del presidente eletto Joe Biden.

Qualcuno potrebbe essere favorevole ad un tipo di condanna così disumana argomentando che è giusto che chi uccide debba essere soppresso e che funga da deterrente per nuovi atti criminali.

Le persone favorevoli a questo tipo di pena ritengono, inoltre, che sia efficace per avere giustizia e per far capire che i criminali non possono passarla liscia con pochi anni in carcere per poi ritornare in libertà: devono subire anch’essi le torture cui hanno sottoposto le loro vittime.

Ma, oltre alla problematica etica e morale, la pena di morte porta davvero benefici alla comunità? Può l’uomo ergersi a giudice dell’uomo? Oppure bisognerebbe puntare alla rieducazione? Su questa problematica sembra avere le idee chiare il neoeletto presidente Biden, che si è impegnato ad abolire la pena di morte federale.

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