La verità è un atto rivoluzionario … di @Antonio Zelano

Dire la verità è senz’altro un atto rivoluzionario, soprattutto oggi che viviamo in un’epoca fatta di sotterfugi, di inganni e di vere e proprie menzogne che possono danneggiare il singolo o intere comunità.

Sin da piccoli a casa e a scuola ci hanno inculcato il principio secondo il quale bisogna sempre dire la verità, bella o brutta che sia, perché la verità ci rende liberi e ci fa stare a posto con la nostra coscienza; ma con il passare degli anni abbiamo compreso che molte verità possono risultare scomode, possono mettere a disagio o in difficoltà, si può rischiare di ferire i sentimenti dell’altro o addirittura farlo infuriare.

Mentire o nascondere verità scomode è un errore comune che in molti casi è diventato una consuetudine. Ciò diventa molto più grave se pensiamo alla realtà spesso illusoria che ci viene propinata dalle notizie trasmesse dai telegiornali in televisione, non sappiamo mai se quello che ci viene presentato sia effettivamente vero e attendibile, se ciò che viene raccontato sia un evento solo parziale, o un piccolo tassello di un quadro molto più grande e complicato.

Ecco perché diventa estremamente importante, soprattutto per noi, nuove generazioni, imparare ad essere osservatori acuti, capaci di guardare sempre con spirito critico la realtà sia vicina che lontana.

La storia è costellata di esempi di uomini di grande statura morale che anche a rischio della propria vita hanno urlato la verità su complotti o affari politici al limite della legalità o apertamente illegali.

Pensiamo alla grande figura di Giacomo Matteotti, il primo grande oppositore di Mussolini, assassinato perché denunciò le violenze e i brogli elettorali delle elezioni del 1924. Nel suo ultimo discorso pubblico, consapevole del fatto che quella sarebbe stata quasi certamente la sua ultima volta alla Camera, con coraggio e determinazione mise a nudo il vero volto del Fascismo destinato a diventare quell’orrenda parentesi storica che ha segnato il nostro paese nella prima metà del Novecento. E i tanti illustri rappresentanti della letteratura, della filosofia o dell’arte costretti a lasciare la propria casa e i propri affetti e scegliere la strada dell’esilio perché incapaci di piegarsi all’omertà e al silenzio.

E se guardiamo al nostro territorio nel corso degli anni tante donne hanno alzato la testa contro la mafia, un’organizzazione criminale che ha compiuto tante stragi e messo il bavaglio a tanta gente che per paura ha preferito non parlare.

Pensiamo alle mogli dei due fratelli Luigi e Aurelio Luciani, agricoltori del Gargano, vittime innocenti di un delitto mafioso consumato nelle campagne di San Marco in Lamis, che hanno deciso di lottare in nome della giustizia sperando di poter garantire un futuro migliore ai loro figli e a tutti i figli della società odierna.

Un altro esempio straordinario legato alla nostra realtà locale è quello di Giovanni Panunzio, costruttore foggiano, grande lavoratore, che non ha avuto paura di parlare e di denunciare i clan, ma che la mafia ha punito con la morte perché non voleva pagare il “pizzo” sui suoi appalti, voleva rimanere libero in nome della verità e della legalità.

L’omertà si può combattere:  tanti giovani di valore, che  sacrificano la loro vita per amore della verità, stanno sradicando e abbattendo un sistema malato in cui “mazzette” e corruzione, false promesse e facili guadagni la fanno da padrone e ci propongono un corretto modello di vita  in cui bisogna avere il coraggio di esprimere le proprie convinzioni  con determinazione, procedendo sempre a testa alta perché solo così si è davvero liberi e capaci di quell’onestà che ancora in tanti ambiti fatica ad affermarsi.

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