La banalità del mondo ha distrutto la Poesia

Esiste ancora la Poesia? Bella domanda. Sicuramente non vi sono più lettori di poesie, o ve ne sono pochissimi. Eppure, grazie ai Social, chiunque può svegliarsi al mattino e decidere di essere poeta.

Scorri un po’ su Facebook o Instagram e li vedi subito: postano qualche foto delle vacanze, selfie o immagini rubate dal web e ci incollano su degli improbabili versi che spacciano per arte.

I temi sono sempre gli stessi, articolati su due percorsi: o si sentono tutti Bukowski, per cui il tono è quello del poeta “ubriacone”, il quale affoga nell’alcol le proprie sofferenze di una vita condotta al limite e nell’incapacità di amare; o, ancora, si tratta di un corollario di immagini immediate, aforismatiche, attraverso le quali si dispensano perle di saggezza sul senso della vita, sul tempo che passa e sul “cogliere l’attimo”.

L’arte banalizzata è un’arte morente. Quanti di questi “poeti da tastiera” hanno mai sfogliato una silloge, letto con trasporto e passione un componimento poetico di qualsiasi tipo, stile, forma, corrente letteraria? Nessuno o quasi.

La Pop Culture ha trasformato la Poesia in un prodotto di consumo, con tanto di banca dati di immagini e versi preconfezionati, più simili a noti prodotti del reparto frigo al supermercato, che non a espressioni elevate dell’animo umano.

Beh, così è facile. Si può dire tutto e spacciare quelle banalità “apri e gusta” per arte. Tutti sono diventati poeti, nessuno, però, conosce davvero la poesia.

Il clima, probabilmente, non aiuta. C’è un’afa insopportabile, temperature inaccettabili. Ci si barrica in casa per trovare un po’ di refrigerio, grazie anche ai ventilatori o all’aria condizionata. Nella stanzetta, in penombra e in totale isolamento dal mondo, la tentazione è enorme: ho un cellulare, una foto interessante e qualche emozione repressa. Che faccio? Trasformo la noia e l’inettitudine in versi. Ecco la genesi della poesia ai tempi dei Social.

Eppure, non è così difficile immergersi in quel mare incostante che è l’arte. Non è una Musa ispiratrice, ma un Daimon che da dentro urla per venir fuori in ogni modo possibile, che sia in suoni, figure, immagini o parole. E non è detto che debba realizzarsi necessariamente nel prodotto, poiché anche la fruizione è parte del processo artistico.

Non dovremmo cercare a ogni costo di dire o scrivere per apparire in vetrina, poiché ogni discorso finalizzato a compiacere un pubblico è un discorso necessariamente banale, di consumo, semplificato.

Dovremmo, invece, varcare la porta delle nostre case, riversarci per le strade della città, incontrare gente, parlare e ascoltare, riempire i teatri, le librerie, le biblioteche, le gallerie, i musei.

Aprirsi all’altro è pericoloso; è una strada che ci consegna probabilmente al dolore, ma necessaria non per il commercio col mondo, bensì per conoscere il mondo. Se non passiamo per questo tortuoso sentiero, l’arte sarà sempre inaccessibile. E non solo, sarà pressoché impossibile immergersi, anche solo per un istante, in quell’oceano profondo e insondabile che è il logos dell’anima.

Poesia non è un parlare a fiume per mettersi in mostra, per farsi accettare (roba che noi adolescenti degli anni Novanta trasformavamo in frasi e aforismi da appiccicare sulle pagine del diario), ma un lungo e lento soliloquio con la parte più profonda e autentica di noi, che può avvenire solo dopo aver conosciuto il mondo, essersi aperti alla vita e agli altri, aver esperito fino in fondo la sofferenza e la gioia.

Poesia è uno sguardo pieno di lacrime di chi, davanti a noi, si mette a nudo e mostra la sua fragilità.

Poesia è cenare con qualcuno e chiedergli di ordinare anche per te, senza sapere bene cosa, per provare anche solo per un momento come l’altro sente e assapora l’esistenza.

Poesia è sentire il bisogno di vedere con altri occhi, sentire con altri sensi, perché alla fine i nostri non ci bastano.

Poesia era lo sguardo pieno di amore del mio cane, che nel dolore e nella sofferenza estrema, prima della fine, cercava disperatamente il suono della mia voce, il rumore del mio respiro.

Se non siamo disposti a nuotare in quell’abisso, col rischio anche di farci male, l’arte non fa per noi. E si resterà sempre lì, a trascinarsi su quel ghiaccio sottile che è la banalità del moderno.

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