“Se ne potevano stare alle case loro”…di @gerardo vigilante

Ero molto piccolo quando mio padre dal ritorno dallo stadio raccontò a mia madre un episodio che lo aveva sconvolto. Durante l’esecuzione del minuto di raccoglimento per ricordare le vittime dell’ennesima tragedia del mare che aveva visto centinaia di migranti morire annegati al largo di Lampedusa, un grido aveva rotto il silenzio che si era creato. Dalla tribuna si era udito in maniera chiara e potente un “Se ne potevano stare alle case loro”. Io non capivo il motivo perché mio padre fosse molto amareggiato, per me era normale: se quelle persone non avessero affrontato un tale viaggio, non sarebbero morte. Cercai di sapere di più del naufragio anche perché fra coloro che avevano perso la vita c’erano pure molti bambini, proprio come me. Iniziai a comprendere che chi abbandona la propria terra è costretto a farlo. Quel pensiero mi faceva stare male. E se fosse successo a me? Lasciare la mia città, le mie cose, i miei amici con l’unica speranza che andando altrove mi sarei potuto salvare?

Poi capii che ci sono sofferenze di serie A e di serie B. Per quanto si sforzasse mio padre, non riusciva a spiegarmi perché per i governi europei, i “profughi” dovessero essere trattati diversamente dai “semplici migranti”. Gli chiesi quando c’è povertà e fame non è come stare in guerra? Neanche nella disgrazia possono essere trattati nello stesso modo?

Avrei voluto tapparmi le orecchie e ululare per non sentire e coprire le parole di mio padre ma non l’ho fatto perché ho capito che l’indifferenza è forse il male più grande della nostra generazione.

Gerardo Vigilante 3^ I “Scuola Media Giovanni Bovio- Foggia

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