Scottsdale, Arizona. Anni ‘50.

Un bambino è seduto alla scrivania della sua cameretta. Tra le mani tiene un libro di scuola. Prova a leggerlo, ma le lettere appaiono disordinate, le parole diventano sfuggenti davanti ai suoi occhi. Il ragazzino rimane disorientato e non riesce a trattenere i concetti scritti nella pagina davanti a sé.
Quel bambino è un giovane Steven Spielberg e la confusione delle parole nel libro è dovuta alla sua dislessia, che però gli verrà diagnosticata solo cinquant’anni dopo.Allora il futuro regista, nel silenzio della sua stanza, chiude gli occhi. Nella sua mente le parole si animano, diventano immagini in movimento, raccontano storie chiare e ordinate, racconti che si fissano nella sua memoria.

Un giorno, partendo da queste scene nella sua mente, inizierà a usare una vecchia videocamera per raccontare nuove storie. Queste immagini diventeranno non solo il motivo del suo successo, ma il suo modo di capire il mondo, crescere e comunicare. (Se vuoi approfondire, guarda questa intervista a Spielberg sul tema.)
Cosa ci racconta questa storia?
Così come Steven Spielberg utilizza immagini in movimento e storie per interpretare ciò che lo circonda, ognuno di noi ha il proprio modo di vedere il mondo, di ragionare, di imparare. La didattica, oggi più che mai, è chiamata a riconoscere queste differenze all’interno della classe, a sostenerle e valorizzarle. L’insegnamento personalizzato e inclusivo risponde proprio a questa esigenza, garantire a studentesse e studenti di crescere e imparare nel modo più adatto a loro.

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